La storia delle scienze matematiche ci presenta un esempio unico ed ammirabile d’un processo continuo di elaborazione e di svolgimento nel quale ogni avanzamento ha sempre presupposto come condizione indispensabile gli avanzamenti anteriori e in cui ogni nuovo acquisto si appoggia e si sovrappone agli acquisti antecedenti e tende ad accrescerne piuttosto che a sminuirne e ad attenuarne l’importanza. Se Archimede o Apollonio potessero rivivere oggi ed esser messi a parte di tutto ciò che è stato trovato o dimostrato dai loro tempi fino a noi sui soggetti da loro investigati, non si potrebbe mostrar loro una sola proposizione che contraddica alle conclusioni alle quali essi erano arrivati, ed essi non potrebbero esser costretti a confessare d’aver avuto torto in una sola delle loro affermazioni. Se Euclide assistesse a una lezione di geometria in uno dei nostri licei o istituti tecnici, non durerebbe certo fatica a riconoscere che le proposizioni, le definizioni, i teoremi, le dimostrazioni che costituiscono la materia del programma svolto, sono in fondo ancora le sue proposizioni e le sue dimostrazioni, solo qualche volta leggermente ritoccate e non sempre migliorate. Se egli poi volesse divertirsi a sfogliare un volume qualunque dei nostri periodici di matematica non tarderebbe ad afferrare, attraverso alle differenze puramente formali e secondarie, la profonda identità tra lo spirito che animava le sue ricerche e quello che continua a guidare e dominare le ricerche dei matematici d’oggi; egli constaterebbe come il suo rigore è ancora il nostro rigore, come il suo punto di partenza è ancora il nostro punto di partenza, e come non ci è possibile studiare neppure quella geometria che abbiamo voluto chiamare non euclidea senza far uso dei procedimenti di cui egli per il primo ci ha insegnato a valerci. Non è solo però sotto questa forma diretta e tangibile che la cooperazione tra i cultori attuali delle scienze matematiche e i loro predecessori si manifesta e dà impulso ai progressi della scienza. Vi è un’altra specie di collaborazione che si potrebbe chiamare automatica o inconscia e che non è meno importante a considerare. È nota l’osservazione di Eulero, colla quale egli accenna all’impressione cui non poteva sottrarsi, ogni qual volta dalla natura dei suoi lavori era portato a servirsi di lunghi sviluppi o trasformazioni di formole per giungere ai risultati che aveva in vista. Gli pareva allora, egli dice, che i suoi simboli e le sue formole s’incaricassero di pensare e ragionare per lui e che la sua matita vincesse di perspicacia il suo cervello. Ed egli spingeva la sua fiducia nella sua matita fino al punto di pronunciare, in presenza di un risultato assurdo a cui essa lo portava, la celebre frase: Sebbene ciò sembri contrario alla verità, pure è più da fidarsi del calcolo che del nostro stesso giudizio. (Mechanica, voI. I, § 272 ). Tale impressione e tale fiducia, per quanto sembrino a prima vista strane ed ingiustificabili, diventano perfettamente spiegabili e naturali quando si pensi quante idee e quante meditazioni, alcune delle quali rimontano a secoli anteriori, si trovano, per così dire, concentrate e immagazzinate in quei segni e in quelle formole che l’abitudine ci pone in grado di maneggiare con tanta facilità e rapidità. In esse cooperano effettivamente ancora con noi, a così grande distanza di tempo, altre menti, senza il cui aiuto noi dovremmo ripetere, ritornando da capo, tutto il lavoro che esse hanno fatto una volta per tutte. Tratto da: |
Categoria: Storia della scienza moderna
Umanità, tecnica e natura (ricordando lo sbarco sulla luna)
di Alessandro Della Corte, Stefano Isola e Lucio Russo
Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna, e lo ricordiamo formulando una domanda i cui legami con quell’evento speriamo appariranno più chiari nel seguito.
Perché l’ideale platonico di un potere legittimato soltanto dalle superiori conoscenze dei suoi detentori sembra oggi tornato così seducente?
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Perché nel XVII secolo vi fu un crollo della ricerca scientifica italiana?
di Lucio Russo
(Questo articolo riprende, in forma molto sintetica, una tesi esposta in L. Russo ed E. Santoni, Ingegni minuti, Una storia della scienza in Italia, Feltrinelli, 2010)
Credo che si possa tranquillamente affermare che la moderna scienza europea nacque nel Rinascimento italiano (anche se gli storiografi anglosassoni tendono a spostare il lieto evento di qualche secolo, facendolo coincidere con il salto di qualità, sul quale torneremo, che si realizzò alla fine del Seicento).
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A proposito d’interdisciplinarità: qualche osservazione sui rapporti tra musica e scienza
di Stefano Isola
Il fenomeno della parcellizzazione disciplinare, ovvero del frazionamento delle discipline in sotto-discipline sempre più minuscole e tra loro incomunicanti, fenomeno strettamente legato all’ipertrofia della produzione culturale specialistica in tutti i campi dello scibile umano, è uno degli aspetti più corposi e al tempo stesso più preoccupanti della crisi culturale in atto, ed è da tempo oggetto di studio anche dei sociologi della scienza. Una caratteristica preminente di questa situazione è la difficoltà crescente di esercitare un’autentica interdisciplinarità costruendo sintesi efficaci tra gli esiti di discipline diverse, senza pertanto prescindere dal controllo di ciascuna di esse. Detto altrimenti, appare sempre più remota la possibilità di pensare ed affrontare i problemi concreti nel quadro di una cultura autenticamente unitaria.
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